Aprile 25, 2024

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Il giorno fu pieno di lampi;

ma ora verranno le stelle,

le tacite stelle. Nei campi

c’è un breve gre gre di ranelle.

Le tremule foglie dei pioppi

trascorre una gioia leggiera.

Nel giorno, che lampi! che scoppi!

Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle

nel cielo sì tenero e vivo.

Là, presso le allegre ranelle,

singhiozza monotono un rivo.

Di tutto quel cupo tumulto,

di tutta quell’aspra bufera,

non resta che un dolce singulto

nell’umida sera.

E’, quella infinita tempesta,

finita in un rivo canoro.

Dei fulmini fragili restano

cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nera

fu quella che vedo più rosa

nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!

Che gridi nell’aria serena!

La fame del povero giorno

prolunga la garrula cena.

La parte, sì piccola, i nidi

nel giorno non l’ebbero intera.

Nè io … che voli, che gridi,

mia limpida sera!

Don … Don … E mi dicono, Dormi!

mi cantano, Dormi! sussurrano,

Dormi! bisbigliano, Dormi!

là, voci di tenebra azzurra …

Mi sembrano canti di culla,

che fanno ch’io torni com’era …

sentivo mia madre … poi nulla …

sul far della sera.

 

Questa poesia di Giovanni pascoli  è tratta dai canti di Castelvecchio, ed è composta da 5 strofe, le quali terminano tutte con la parola “sera”, a loro volta le 5 strofe sono costituite da 8 versi di cui 7 novenari e l’ultime sono senari.

Pascoli immagina una sera di un’estate dopo un temporale e parla delle silenziose stelle e i campi, nei quali si sentono le rane, mentre arriva la pace della sera. Le stelle si fanno vedere come fiori fra le nuvole e nel campo si sente il singhiozzo d’un fiume(è’ quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro) e, dopo la pioggia, si presenta la sera piena di umidità. La furia della tempesta é placata , i fulmini lasciano il passo alle nuvole rosse e dorate per i riflessi del sole cadente . Finalmente le rondini intrecciano voli nell’aria per soddisfare la voglia di cibo che le assale, prolunga la loro ricerca di cibo che neanche i piccoli non avranno,e neanche l’autore ha avuto la sua felicità, mentre le rondini volano nella limpida sera. Le  campane si fanno sentire, è un suono che assomiglia ad una ninna-nanna, e fanno ricordare all’autore la madre, che gliela cantava prima di addormentarsi, sul finir della sera.
Pascoli vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera, cioè paragona il temporale alla vita travagliata (perdita dei cari genitori) e la sera ad un momento di tranquillità della sua vita.

Il Poeta così raggiunge la serenità, risentendo il canto della madre mente culla i figlioletti. Incontrare la mamma, i propri fratellini, significa per il Poeta, appagare una esigenza fortemente sentita.

Le Figure

La poesia è composta da 5 strofe di sette novenari e un senario, che termina sempre con la rima tematica “sera”, che rappresenta la parola-chiave della lirica. Le rime sono alternate. Schema: ABABCDCd. I versi 19 e 34 sono ipermetri.

Nella poesia l’autore tende ad Umanizzare la natura “singhiozza monotono un rivo”, trasmettendo sensazioni al lettore. Importante è l’uso di Onomatopee (dolci) come “breve gre gre di ranelle”oppure “singhiozza monotono un rivo”o “Don…Don. E mi dicono dormi! Mi cantano Dormi! Sussurrano Dormi! Bisbigliano Dormi” e infine “voci di tenebra azzurra” ch’è un’onomatopea (voci) unita con sinestesia (l’insieme di due sensi; vista e udito) ossimoro(tenebra azzurra) e metafora(indicano le voci della morte). Presenti allitterazioni (es. vv.13-16).

Altre figure retoriche presenti nella poesia sono: metafore (“… tacite stelle…”), la sineddoche (“…i nidi…”), ossimori (“..fulmini fragili…”) e la metonimia (“..stanco dolore…”).

CONFRONTI:

La poesia del Pascoli svolge lo stesso motivo della Quiete dopo la tempesta del Leopardi, ma, mentre questa termina con la meditazione del poeta sulla natura del piacere che è “figlio d’affanno”, si prova cioè solo quando è cessato il dolore . La mia sera del Pascoli, invece, termina con una notazione autobiografica, con la rievocazione, cioè, dell’infanzia e della madre, che cullava dolcemente il poeta: è una conclusione, quindi, tutta individuale e personale.

 

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