Aprile 28, 2024

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Il rendering di un progetto analogo in Danimarca

Tratto dal corriere della sera

Niente sbarre alle finestre, niente mura perimetrali, celle singole. E ancora: campo di calcio, campi da tennis, piscina, teatro, aule, laboratori, refettori, sale per i vari culti religiosi. E attorno verde, tanto verde: alberi e prati all’inglese. Un resort più che un carcere quello progettato dal Ministero della Giustizia a Nola, nell’agro di Boscofangone, destinato ad accogliere 1200 detenuti non pericolosi e a decongestionare Poggioreale e Secondigliano. Ma sarà soprattutto il primo esperimento di carcere «aperto» in Italia, sul modello delle prigioni-non prigioni danesi o norvegesi. Fortissimamente voluto dal guardasigilli Andrea Orlando, il nuovo penitenziario previsto dal piano-carceri dovrà essere pronto nel giro di un quinquennio al costo di 120 milioni di euro. Dal punto di vista politico rappresenterà anche un tributo postumo a Marco Pannella e alle sue battaglie per una detenzione dal volto umano. Orlando infatti ritiene inaccettabili le condizioni di detenzione in molte carceri italiane, così come la stessa Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per trattamento inumano dei detenuti. Così il ministero sta bruciano le tappe per concludere velocemente la gara.

Sono già 14 i raggruppamenti di imprese che hanno manifestato interesse, coinvolgendo fior di progettisti. Tra le aziende figura solo una napoletana: la società di ingegneria «Tecnosistem», da quarant’anni specializzata in opere edilizie e infrastrutturali, che ha deciso di affidare la progettazione a un architetto del calibro di Massimiliano Fuksas. In attesa dell’esito della gara è opportuno chiarire che carcere-aperto non vuol dire ovviamente che i detenuti potranno uscire dalla struttura. Se è vero che non sono previste mura perimetrali e sbarre alle finestre, al loro posto ci saranno griglia in acciaio e robusti vetri antisfondamento, inoltre un modernissimo sistema di videosorveglianza. Insomma, l’esperimento»tenderà a preservare la sicurezza ma non a scapito della vivibilità e soprattutto non precluderà alla vista e ai sensi dei reclusi le immagini della vita che scorre all’esterno e che, nel caso specifico, sarà rappresentata dai confinanti centri commerciali, dalle campagne e dalle auto che passano sulle statali. E dunque si spiegano così anche la piscina e i campi da tennis, le celle singole con televisore a cristalli liquidi da 20 pollici, i laboratori dove imparare un mestiere, il teatro, le sale per i vari culti religiosi. Per ovvi motivi non si tratterà di un carcere di massima sicurezza, i detenuti al 41 bis ma anche quelli ritenuti pericolosi a Nola non potranno essere ospitati.Prudente, ma aperto al dialogo il sindaco Geremia Biancardi che già da tempo ha spiegato: «Il ministro Orlando ci ha rassicurato sulla collocazione del penitenziario in un’area distante sia da Nola che dal centro abitato della frazione di Polvica. Dunque non ci saranno problemi per la vita quotidiana dei cittadini. Inoltre, è bene sottolineare che si tratta di un carcere sperimentale. Infatti, non avrà le mura di cinta. Sarà un penitenziario dove sconteranno la pena quei detenuti che dovranno essere prontamente reinseriti in società». Raffaele Soprano, presidente della Fondazione Gigli di Nola, ha assicurato la disponibilità nel collaborare al recupero dei detenuti. Come? «Insegnando loro l’arte della cartapesta con la quale i nostri artigiani preparano i rivestimenti per i Gigli. Una tradizione antichissima — spiega — che passa attraverso i titolari delle botteghe di Nola e che contiamo di poter trasmettere ai detenuti».

Tutti contenti? Non proprio. Contrarietà vengono avanzate da «Antigone», l’associazione che in tutt’Italia si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale. «La dimensione del carcere è eccessiva, c’è il totale isolamento dalla città, la scelta della zona che presenta problemi di carattere idrogeologico e di inquinamento, nonché la vaghezza relativamente alle attività lavorative che saranno svolte e ai rapporti con il territorio su questo fronte. Si rischia di trasformare la città metropolitana di Napoli in una prison valley all’italiana». Infine, corrado Marcetti, architetto della Fondazione Michelucci, fa notare: «L’area prescelta è in territorio extraurbano, periferico e mal collegato, in una zona agricola un tempo cuore della Campania Felix, poi avvelenata (e mai bonificata) dai fusti di liquami interrati dalla camorra». Insomma, il dibattito è aperto

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