Adescamento sessuale di minori sul web: il reato di “grooming”
Il mondo virtuale rappresenta una fra le più rilevanti minacce per i minori.
Ed infatti, esso rappresenta il luogo più fertile ove realizzare l’ adescamento online del minore: c.d. grooming.
In rete, i minori, infatti, sono maggiormente esposti al rischio di essere facilmente adescati da soggetti che li manipolano al fine di abuso o sfruttamento sessuale.
Proprio a protezione dei bambini, contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, è stata firmata il 25 ottobre 2007 la Convenzione di Lanzarote.
Gli Stati firmando la stessa, si impegnano a criminalizzare ogni attività sessuale con bambini sotto l’età del consenso, la prostituzione minorile e la pornografia infantile.
La Convenzione, inoltre, intraprende misure di prevenzione allo sfruttamento sessuale dei minori, tra cui l’educazione dei bambini, il monitoraggio dei responsabili e il controllo delle
persone che lavorano con i minori.
Il grooming come fattispecie di reato
È stato il Regno Unito il primo paese ad introdurre il grooming come fattispecie di reato penalmente rilevante.
In Italia, solo nel 2012, con la legge n. 172 è stata data esecuzione alla Convenzione di Lanzarote.
Nel codice penale, infatti, è stato introdotto l’articolo 609 undecies che recita: “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.
Dalla lettura del dato legislativo, si evince che la tutela è stata ristretta ai soli minori di anni sedici, la peculiarità, però, sta nel fatto che si sanziona la condotta a prescindere dal verificarsi del danno, che, qualora dovesse verificarsi comporta un’aggravante.
Solo il Regno Unito specifica il grooming come “ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente“.
Molto più rigida appare la normativa australiana e canadese che prevede sanzioni penali per il solo fatto di instaurare via internet una comunicazione, al fine di sedurre un minore per poi abusarne.
In Italia è stato introdotto poi, l’articolo 414 bis del codice penale che prevede e sanziona il reato di istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia.
Esso recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma. Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.
Per la prima volta nel nostro ordinamento penale viene introdotta la parola “pedofilia”, ma molte questioni sorgono per la collocazione sistematica dell’articolo in questione.
Esso seguendo l’articolo 414 codice penale – istigazione a delinquere – potrebbe configurarsi come un’aggravante e non come una fattispecie autonoma.Per la dottrina, però, non vi sono dubbi, l’articolo 414 bis configura una fattispecie autonoma, ponendosi la norma in un rapporto di specialità.