Marzo 28, 2024

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Nel 1988 durante un processo a carico della NCO per l’omicidio Cappuccio, consigliere comunale di Ottaviano, Cutolo in qualità di professore(si fa per dire), annunciò pubblicamente la sua richiesta di sequestro del romanzo Il camorrista, vita segreta di Don Raffaele Cutolo, e denunciò la non veridicità dei fatti riportati da Marrazzo, al quale aveva effettivamente rilasciato alcune interviste, a suo dire mal riportate dallo scrittore. Il diniego di Cutolo fu dovuto in primis all’ultimo capitolo del romanzo dedicato alla morte del suo braccio destro ed amico di infanzia Vincenzo Casillo, ucciso secondo Marrazzo per volontà dello stesso Cutolo, il quale si è sempre dichiarato estraneo rispetto alla morte del suo “amico più caro”.

La tesi di Cutolo sarebbe avvalorata dalla testimonianza dei collaboratori di giustizia Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, nemici storici di Cutolo e Padrini della Nuova Famiglia, i quali si autoaccusarono dell’omicidio Casillo avvenuto sia per vendicare la morte del fratello di Galasso che per decretare la fine della Nuova Camorra Organizzata, già provata dagli innumerevoli arresti, lo stesso Cutolo era infatti recluso in regime di carcere duro all’Asinara. In secondo luogo Raffaele Cutolo criticò la modalità con cui il libro descriveva gli eventi, il dialogo scorre infatti in prima persona come se a parlare fosse lo stesso Cutolo. Il professore denunció un’ “ingiustizia” da lui così definita, perché “il dovere di cronaca sincera va rispettata, a gent nun sap campá signor giudice”.Frasi passate alla storia, uno scrittore di fame, corretto e denunciato da Cutolo, che oltre il danno, beffeggió lo stesso Marrazzo definendosi professore e quindi in grado di effettuare revisioni e correzioni ad un manoscritto.

 È proprio il caso di dire: “Ad ognuno il suo soprannome, ad ognuno il suo mestiere” .

 

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